Il principio di legalità nel D.Lgs. 231-2001
La disciplina della cd. responsabilità amministrativa degli enti, dettata dal D.Lgs. 231/2001, è soggetta al principio di legalità.
Prevede, infatti, l’art. 2 del D.Lgs. 231 che
“L’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto“.
Il principio di legalità è un cardine fondamentale negli ordinamenti giuridici democratici.
In Italia è sancito dall’art. 25 comma 2 della Costituzione in forza del quale “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” e viene ribadito:
– dall’art. 1 del codice penale in relazione ai reati ed alle pene,
– dall’art. 199 del codice penale in relazione alle misure di sicurezza,
– dall’art. 1 della L. 689/1981 in relazione alle sanzioni amministrative,
– dall’art. 3 D.Lgs. 472/1997 in relazione alle sanzioni amministrative conseguenti alla violazione di norme tributarie.
Il principio di legalità si manifesta nei seguenti principi:
1) tassatività;
2) riserva di legge;
3) irretroattività.
In altre parole, per essere considerato e punito come reato un fatto deve essere previsto come tale dalla legge dello stato (principio della riserva di legge), in modo preciso e determinato (principio della tassatività delle fattispecie) e le fattispecie di reato devono essere tassative, ossia individuate con determinatezza e precisione). Tale norma deve, infine, essere entrata in vigore prima della commissione del fatto (principio di irretroattività).
Nell’applicazione del D.Lgs. 231 ha assunto notevole importanza il principio di legalità inteso come principio di irretroattività perchè, nel corso del tempo, il catalogo dei “reati presupposto”, ossia dei reati la cui contestazione in capo alla persona fisica determina la responsabilità dell’ente da cui la persona dipende, è stato progressivamente ampliato.
Per effetto del principio di irretroattività, quindi, l’ente è responsabile ex D.Lgs. 231 solo se il fatto commesso dalla persona fisica è stato inserito nel catalogo dei reati presupposto prima della commissione del fatto.
In altre parole, è il momento di consumazione del reato (e non il momento della realizzazione – da parte dell’ente – del profitto conseguente al reato) il momento discriminante per accertare la sussistenza della responsabilità dell’ente.
La Suprema Corte ha affermato ripetutamente tale principio (Cass. n. 316/2007 – 14564/2011 – 2625/2014), in particolare in tema di reati tributari (che sono stati introdotti nel catalogo dei reati presupposto solo di recente).
La questione è di rilevante importanza pratica perchè l’inapplicabilità del D.Lgs. 231 comporta l’impossibilità di applicare all’ente, in fase di indagini, le misure cautelari tra cui rientrano:
– il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente previsto dal combinato disposto degli artt. 19 e 53 del D.Lgs. 231;
– le sanzioni interdittive applicate in forma di misura cautelare come previsto dall’art. 45 D.Lgs. 231.
Il principio di legalità assume fondamentale importanza nell’ambito del D.Lgs. 231 anche in relazione ai reati associativi ed ai reati complessi.
Non è, infatti, consentito frammentare in maniera artificiosa gli elementi costitutivi dei reati composti o procedere alla scomposizione dei reati complessi allo scopo di contestare la responsabilità dell’ente.
Ad esempio, fino all’introduzione dei reati tributari nel catalogo dei reati presupposto, non era consentito applicare il D.Lgs. 231 in caso di contestazione di frode fiscale scorporando dalla fattispecie gli elementi di reato comuni alla truffa aggravata in danno dello Stato che, invece, rientrava nel catalogo dei reati presupposto (cfr. Cass. 41488/2009).
Quanto ai reati associativi, essi sono stati inseriti nel catalogo dei reati presupposto con la L. 94/2009.
La dottrina e la giurisprudenza hanno segnalato il pericolo derivante dalla configurazione del reato di associazione a delinquere (in forza del quale l’ente è responsabile ex D.Lgs. 231/2001) in relazione a reati-fine non compresi nel catalogo dei reati presupposto. In tal caso si configurerebbe una lesione del principio di legalità inteso come principio di tassatività in quanto l’ente verrebbe chiamato a rispondere di reati in merito ai quali non ha effettuato alcuna analisi del rischio perchè essi non sono compresi nel catalogo dei reati presupposto. In argomento, cfr. Cass. 3635/2013.
to be continued…