Il diritto al tempo del coronavirus: la “fase due” del processo mediatico
Riportiamo alcuni stralci del documento pubblicato il 30 aprile dall’Osservatorio sull’informazione giudiziaria dell’Unione delle Camere Penali.
Si parla di come una nota trasmissione televisiva ha trattato la notizia dell’apertura di un’indagine penale a carico del direttore di una struttura sanitaria a seguito della morte di un medico che lavorava nella stessa.
Segnalano le Camere Penali che l’inviato della trasmissione, sulla base di non meglio precisati approfondimenti (ossia indagini) svolti in proprio, si sarebbe presentato davanti all’indagato (il responsabile della struttura) chiedendogli conto delle accuse.
Per quanto è stato riportato, l’indagato ha risposto come segue:
“Non intendo dirvi nulla, è inutile che insista, non mi porterà in nessun modo ad instaurare con voi un contraddittorio su questioni che riguardano un procedimento penale, vi posso solo dire che le vostre informazioni sono sbagliate e che mi rapporterò solamente con gli inquirenti per rispetto loro, della giustizia e anche della famiglia del defunto”.
Osservano le Camere Penali che questo è “l’atteggiamento di un cittadino che non ha nessuna intenzione di difendersi fuori dall’aula di un Tribunale, consapevole del proprio status, rispettoso degli inquirenti, della giustizia e degli interessi delle parti “.
Di tutt’altro tenore, purtroppo, la reazione del conduttore che, durante la trasmissione, ha dichiarato:
“…. è una città importante e la sua gente merita rispetto!”
“…. deve rispondere di quello che è successo in quell’ospedale. Io non mi fermerò perché la verità e la giustizia sono fondamentali !”.
“Noi abbiamo raccolto molti documenti! Battistelli (l’inviato) ha ascoltato parecchie persone e non mi va di dirvi tutto in questa puntata”.
Nella puntata successiva, trasmessa domenica 26 aprile, l’inviato è tornato ad intervistare l’indagato che, coerentemente, ha ribadito la propria posizione.
La conclusione tratta dal conduttore è stata che “evidentemente il direttore aveva qualcosa da nascondere ed ha pertanto scelto la fuga“.
E’ chiara, in un caso come questo, la potente distorsione del processo e dei diritti delle persone in esso coinvolte che deriva da un uso sbagliato dei mezzi di informazione.
L’indagato ha diritto di rimanere in silenzio e, se intende parlare in corso d’indagini, è suo dovere farlo avanti al Pubblico Ministero e non in televisione.
Inoltre, è suo dovere mantenere il riserbo su quanto abbia detto o abbia intenzione di dire agli inquirenti. Lo prevede il codice di procedura penale.
Il diritto di cronaca è prima di tutto racconto dei fatti.
Gli organi di informazione non hanno il diritto di sostituirsi all’Autorità Giudiziaria, nè inquirente nè giudicante, tantomeno di emettere un giudizio sull’accaduto quando non sono ancora nemmeno stati chiariti i fatti.
In questo modo vengono macellati i diritti delle persone coinvolte e distrutta la credibilità del sistema perchè diviene opinione diffusa che chiunque, sulla base del proprio personale convincimento, abbia il diritto di assolvere o condannare chi viene coinvolto in una vicenda di cronaca avente risvolti penali.
In tal modo la libertà di informazione e la presunzione di innocenza sino a sentenza definitiva vengono sacrificate a favore del profitto perchè gridare allo scandalo porta ascoltatori e questi permettono di strappare ricchi contratti pubblicitari alla trasmissione.
In questi tempi difficili, durante i quali le libertà individuali sono messe a dura prova, non è accettabile che gli organi di informazione, cui spetta una funzione fondamentale nell’ambito di una democrazia, ossia quella di far conoscere i fatti, si lascino andare ai processi di piazza.
Le conseguenze di siffatti atteggiamenti potrebbero essere nefaste nel corso del tempo.
L’abuso della propria libertà e del proprio ruolo può facilmente trasformare la migliore delle idee in un mostro.
Si pensi solo a come è finita la Rivoluzione francese. Dall’Illuminismo si è passati al Terrore di Robespierre, che ghigliottinava gli avversari sulla pubblica piazza all’esito di un processo sommario.
Quello citato dalle Camere Penali è un singolo caso eclatante, ma non è molto diverso dalle decine di servizi televisivi ed articoli si stampa che stanno accusando in tutta Italia i responsabili delle case di riposo e, talora, anche delle strutture sanitarie, spesso dando voce solo ad una delle parti coinvolte, ossia quella meno informata ma di maggior impatto mediatico: i parenti degli ammalati, dei ricoverati, delle vittime.
Il documento integrale delle Camere Penali è reperibile al seguente link: