Quando il diritto (e la cronaca) incontrano la Storia: il decreto “coronavirus” del 1 marzo … commentato dal Manzoni
XXXI
“…In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo.
Poi, febbri pestilenziali: l’idea s’ammette per isbieco in un aggettivo.
Poi, non vera peste, vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome.
Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s’è attaccata un’altra idea, l’idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l’idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro…” .
XXXII
“… Insieme con quella risoluzione, i decurioni ne avevan presa un’altra: di chiedere al cardinale arcivescovo, che si facesse una processione solenne, portando per la città il corpo di san Carlo.
Il buon prelato rifiutò, per molte ragioni.
Gli dispiaceva quella fiducia in un mezzo arbitrario, e temeva che, se l’effetto non avesse corrisposto, come pure temeva, la fiducia si cambiasse in iscandolo…
Temeva di più, che, se pur c’era di questi untori, la processione fosse un’occasion troppo comoda al delitto: se non ce n’era, il radunarsi tanta gente non poteva che spander sempre più il contagio: pericolo ben più reale… .
Ma i decurioni, non disanimati dal rifiuto del savio prelato, andavan replicando le loro istanze, che il voto pubblico secondava rumorosamente.
Federigo resistette ancor qualche tempo, cercò di convincerli; questo è quello che poté il senno d’un uomo, contro la forza de’ tempi, e l’insistenza di molti. …
… Al replicar dell’istanze, cedette egli dunque, acconsentì che si facesse la processione…
Non trovo’ che il tribunale della sanità, né altri, facessero rimostranza né opposizione di sorte alcuna.
Soltanto, il tribunale suddetto ordinò alcune precauzioni che, senza riparare al pericolo, ne indicavano il timore.
Prescrisse più strette regole per l’entrata delle persone in città; e, per assicurarne l’esecuzione, fece star chiuse le porte: come pure, affine d’escludere, per quanto fosse possibile, dalla radunanza gli infetti e i sospetti, fece inchiodar gli usci delle case sequestrate… .
… Tre giorni furono spesi in preparativi: l’undici di giugno, ch’era il giorno stabilito, la processione uscì, sull’alba, dal duomo.
Andava dinanzi una lunga schiera di popolo …
Tutta la strada era parata a festa …
La processione passò per tutti i quartieri della città … di maniera che si tornò in duomo un pezzo dopo il mezzogiorno.
Ed ecco che, il giorno seguente, mentre appunto regnava quella presontuosa fiducia, anzi in molti una fanatica sicurezza che la processione dovesse aver troncata la peste, le morti crebbero, in ogni classe, in ogni parte della città, a un tal eccesso, con un salto così subitaneo, che non ci fu chi non ne vedesse la causa, o l’occasione, nella processione medesima.
Ma, oh forze mirabili e dolorose d’un pregiudizio generale!
non già al trovarsi insieme tante persone, e per tanto tempo, non all’infinita moltiplicazione de’ contatti fortuiti, attribuivano i più quell’effetto; l’attribuivano alla facilità che gli untori ci avessero trovata d’eseguire in grande il loro empio disegno.
Si disse che, mescolati nella folla, avessero infettati col loro unguento quanti più avevan potuto.
… Ed era in vece il povero senno umano che cozzava co’ fantasmi creati da sé.
Da quel giorno, la furia del contagio andò sempre crescendo: in poco tempo, non ci fu quasi più casa che non fosse toccata …”
(A. Manzoni, I promessi sposi)