Illegittima sospensione della certificazione BIO a seguito di non conformita’
Il caso:
un’azienda di stoccaggio di cereali, certificata per la filiera biologica, riceve dal proprio Ente di Certificazione un provvedimento sanzionatorio di sospensione per tre mesi della certificazione biologica per l’intera attività a seguito della “non conformità” di una partita di circa 30 tm di mais indicato come prodotto “in conversione” dal venditore mentre in realtà il prodotto non era ancora certificato come tale. Il certificato, infatti, risulta rilasciato pochi giorni dopo la vendita del mais.
L’azienda di stoccaggio impugna il provvedimento di sospensione e ne ottiene la revoca stante la sua totale estraneità alla vicenda.
Detta controversia, apparentemente banale, pone almeno tre questioni giuridiche:
1) la non corrispondenza tra la sanzione applicata e la violazione contestata;
2) la validità dell’estensione della sospensione all’intera “attività” dell’azienda benchè oggetto di contestazione sia solo una partita di uno dei prodotti (il mais) che l’azienda tratta nella filiera biologica;
3) la rilevanza dell’assoluta estraneità dell’azienda di stoccaggio alla “non conformità” del prodotto, sia sotto il profilo oggettivo della condotta sia sotto quello soggettivo del dolo o della colpa;
Quanto alla prima questione, va osservato preliminarmente che la definizione di “non conformità” è dettata dal DM 15962/2013 art. 2 ed è ripresa letteralmente dal regolamento di certificazione dell’Ente coinvolto. Per “non conformità” si intende:
– (comma 1 art. 2 DM 15962) “… il mancato rispetto delle disposizioni previste dalla normativa europea, nazionale e regionale in materia di agricoltura biologica oltre che degli obblighi previsti dal Regolamento e dal Contratto di Certificazione”.
Precisa, ancora la norma citata che:
“(comma 2) La non conformità è determinata da comportamenti e/o negligenze compiuti dal Cliente o da eventi non direttamente imputabili allo stesso.
(comma 3) Le non conformità si distinguono in inosservanze, irregolarità ed infrazioni e comportano l’adozione … di un corrispondente provvedimento emesso da parte dell’Ente in conformità al DM 15962/2013.
(comma 4) Le misure sono applicate in maniera proporzionale all’importanza, alla natura e alle circostanze che hanno determinato il configurarsi della non conformità”.
Per “inosservanza” si intende “un’inadempienza lieve che non compromette la certificazione del processo di produzione e/o il sistema di auto-controllo sul metodo di produzione o la gestione della documentazione aziendale e si caratterizza per non avere effetti prolungati nel tempo e non determina variazioni sostanziali dello status aziendale e/o di conformità dei prodotti e/o di affidabilità” dell’azienda”.
La relativa sanzione è la “diffida” (cfr. art. 3 DM cit.).
Per “irregolarità” si intende “un’inadempienza che compromette la qualificazione dei prodotti, ma non la conformità del processo di produzione e/o il sistema di auto-controllo sul metodo di produzione o la gestione della documentazione aziendale e si caratterizza per non avere effetti prolungati nel tempo e non determinare variazioni sostanziali dello status aziendale”.
La relativa sanzione è la “soppressione delle indicazioni biologiche” dei prodotti (cfr. art. 4 DM cit.).
Per “infrazione” si intende “un’inadempienza di carattere sostanziale che compromette la conformità del processo di produzione e/o il sistema di auto-controllo sul metodo di produzione o la gestione della documentazione aziendale o il rispetto degli obblighi contrattuali assunti nei confronti dell’ente di certificazione e si caratterizza per avere effetti prolungati tali da determinare variazioni sostanziali dello status aziendale e/o di conformità dei prodotti e/o di affidabilità del cliente”.
La relativa sanzione è “la sospensione della certificazione” o “l’esclusione” dell’azienda dal sistema di certificazione (cfr. art. 5 DM cit.).
Il terzo comma dell’art. 5 precisa che “la sospensione della certificazione può riguardare una o più attività (produzione, preparazione e importazione) una o più unità produttive o l’intera azienda. La sospensione si applica alla singola attività o unità produttiva qualora l’infrazione non abbia ricadute su altre attività o unità produttive”.
Per l’effetto, risulta evidente la sproporzione e la contrarietà al Decreto ministeriale e al Regolamento della sanzione applicata al caso di specie per le seguenti ragioni:
a) E’ stata applicata la sanzione della “sospensione” fuori dei casi previsti dalla legge, ossia a fronte di una “non conformità”:
– relativa ad un solo lotto di merce,
– di esigua quantità,
– meramente documentale (come confermato dal fatto che le analisi sul prodotto eseguite dall’azienda di stoccaggio al momento dell’acquisto non avevano evidenziato alcun difetto della merce),
– proveniente da un solo fornitore che risulta documentalmente esserne l’unico responsabile.
b) Non è stato compromesso il processo di produzione, non è stato compromesso nè il sistema di auto-controllo nè quello produttivo nè quello documentale, non sono stati violati gli obblighi derivanti dal contratto di certificazione e non si sono prodotti effetti a lungo termine tali da variare lo status aziendale, la conformità dei prodotti e/o l’affidabilità dell’azienda.
Quindi, è evidente l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio applicato.
La “non conformità” in questione doveva essere classificata, alla luce delle circostanze di fatto e documentali, come mera “irregolarità” con conseguente applicazione della sanzione della soppressione dell’indicazione biologica per la sola partita di merce oggetto di non conformità.
Quanto alla seconda questione, risulta evidente l’illegittimità della sospensione della certificazione dell’intera attività aziendale nel settore biologico a fronte di una “non conformità” relativa solamente ad una piccola partita di merce.
L’art. 5 comma 3 del Decreto ministeriale succitato è chiaro sul punto.
A tale conclusione, inoltre, si perviene necessariamente una volta stabilito che la sanzione da comminare era l’irregolarità e non la sospensione della certificazione.
Quanto alla terza questione, si deve osservare che l’art. 2 comma 2 del decreto ministeriale prevede espressamente che “… la non conformità è determinata da comportamenti e/o negligenze compiuti dal Cliente o da eventi non direttamente imputabili allo stesso”.
Ci si deve, quindi, chiedere se tale norma, richiamata anche nel Regolamento dell’Ente, ponga a carico dell’operatore una cd. “responsabilità oggettiva” oppure no.
Sembra possibile escludere la sussistenza di una responsabilità oggettiva alla luce del fatto che il successivo comma 4 dell’art. 2 precisa che “ …le misure sono applicate in maniera proporzionale all’importanza, alla natura e alle circostanze che hanno determinato il configurarsi della non conformità”.
Il riferimento alle “circostanze” della non conformità nel comma 4 e alla “imputabilità” della non conformità all’operatore nel comma 2, la natura delle sanzioni applicate e, soprattutto, il fatto che l’attività di controllo svolta dall’Ente di Certificazione sia un’attività delegata al privato dallo Stato, porta a concludere che, in materia, si debba fare riferimento ai principi dettati dalla L. 689/1981 in tema di sanzioni amministrative in forza della quale la materia è regolata, tra gli altri, dai principi di legalità e di sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito.
Ciò significa che un soggetto completamente estraneo alla condotta e/o all’omissione che ha determinato la “non conformità” non può esserne considerato responsabile, ossia non può essere sanzionato.
Chiaramente, il prodotto non conforme deve essere immediatamente declassato, ma senza che ciò comporti alcuna conseguenza negativa per l’attività e la certificazione dell’azienda ricevente la merce, nel caso lo stoccatore.
L’avv. Rebellato, nella controversia in oggetto, ha svolto attività di consulenza all’azienda destinataria dell’illegittimo provvedimento di sospensione della certificazione.