Il diritto al tempo del Coronavirus: una riflessione su luoghi e tempi del processo
Le udienze da remoto, uno degli strumenti introdotti nei mesi scorsi nel tentativo di celebrare ugualmente i processi nonostante l’emergenza sanitaria, diventano l’occasione per riflettere sul tribunale come luogo fisico in cui si amministra la giustizia e sui tempi che tale attività richiede.
Dalla redazione a penna dei provvedimenti, al sogno architettonico di un palazzo razionale ed organizzato ove venga quotidianamente “fatta” giustizia:
“… Le mani ricercavano i repertori per risalire alle interpretazioni di regole con le quali erano state già decise casistiche similari. Il repertorio rimandava ad altri testi, dove erano racchiuse le sentenze, accompagnate da ricche e approfondite annotazioni. Il librone veniva aperto, sfogliato, interpolato a matita, spesso sintetizzato su fogli d’appunti. Si formava uno spazio di decantazione, un tempo apparentemente vuoto nel quale prendeva gradatamente corpo la composizione di un pensiero, delle riflessioni, dell’interpretazione della norma, dell’illustrazione delle ragioni per le quali la decisione era stata proprio assunta in quel modo…”
“… Un architetto avrebbe dovuto progettare un grande palazzo, con ambienti ampi e funzionali, ciascuno dedicato a una peculiare esigenza: quando si entri, a piano terreno, sulla destra un grande spiazzo al coperto sarà destinato alle soluzioni conciliative di banali contese; in fondo, vi saranno aree riservate ad arbitratori.
Proseguendo al I piano sulla sinistra, vi saranno ambienti destinati alle statuizioni del diritto punitivo minore, in cui sia bandito il carcere come soluzione finale, quand’anche coerente con le finalità dell’art. 27 Costituzione.
Lì i tempi del giudizio potrebbero essere brevi, i riti semplificati, le decisioni improntate a sanzioni innovative che consentano di recuperare la dignità del condannato con il suo impiego temporaneo ad attività d’utilità sociale.
Ancor più in alto, sul II piano, ci sarà l’unico rito ordinario, l’unico giudizio prefigurabile in un ordinamento che vesta gli abiti delle garanzie.
In quel piano saranno le aule delle udienze, luoghi di contradditorio argomentativo, di formazione, necessariamente lenta, dei fatti attraverso l’estenuante confronto tra le parti e le incursioni di un giudice attento, il quale, lontano dai clamori di coloro che all’esterno del palazzo mostrano cartelli di colpevolezza o d’innocenza, emetterà la sua decisione con gli strumenti dosimetrici rimessi alla sua sapienza.
Ogni magistrato sarà dotato di sofisticati applicativi, che consentiranno l’organizzazione delle udienze, la conoscenza in tempo reale dei propri ruoli e delle indagini pendenti, ciascun pubblico ministero potrà seguire i dibattimenti dei processi di cui è stato titolare sin dalla fase investigativa; i dirigenti dei vari uffici si incontreranno in giardini comuni per progettare il miglioramento degli ambienti e della loro funzionalità.
Nell’emergenza, in ogni situazione in cui non sarà possibile la presenza, sarà consentito un confronto su schermi a misura d’uomo e dalle ineccepibili qualità sonore…”.
(Il testo integrale su Questione Giustizia, “Racconto breve su luoghi e tempi di giustizia”
una riflessione del dott. Gabriele Mazzotta, procuratore aggiunto a Firenze):
http://questionegiustizia.it/articolo/racconto-breve-su-luoghi-e-tempi-di-giustizia_06-06-2020.php
Foto: progetto del piano nobile del “Palazzo dei Tribunali” di Via Giulia a Roma commissionato da Papa Giulio II a Bramante nel 1508, opera mai completata di cui non si conosce neppure l’alzato.
Pare che ad esso si sia ispirato, pochi anni dopo, Giuliano da Sangallo per la costruzione di Palazzo Farnese.